Nino, la morte e il solstizio sull’Ortigara

L’alpino cheraschese Giovanni Torta muore nella prima guerra mondiale il primo giorno d’estate del 1916. Altri 600mila lo hanno preceduto e lo seguiranno.

Nino guarda le nuvole scorrere veloci nella porzione di cielo sopra di lui, supino sulle pietre del monte Ortigara. In quell’ultimo giorno di primavera il sole è caldo, ma in quota la brezza è fresca. Da un po’ il fianco destro non gli fa più male. Quando la pallottola della mitragliatrice austriaca lo ha colpito è stato come ricevere un forte pugno, è caduto a terra e la ferita ha iniziato a bruciargli terribilmente. Ora non sente quasi più nulla, ma Nino pensa che non è un buon segno: se il senso del dolore svanisce, se ne va anche la vita.  Già, perché l’alpino Nino ha imparato presto che la vita marcia indissolubilmente legata a dolore e tribolazione. Viene da Cherasco, da una famiglia numerosa nella quale l’unica fonte di ricchezza sono le braccia per lavorare. E lui in quella guerra non dovrebbe proprio esserci perché quando si era presentato alla visita militare, nel 1912, era stato riformato. È piccolo – 154 centimetri, quanto basta però, perché il re Vittorio Emanuele III ha la stessa altezza – ma i giovani sono tanti e si possono riformare quelli meno aitanti; addirittura si “tira il biglietto” “un’estrazione a sorte ufficiale” per decidere chi, tra gli abili, dovrà vestire la divisa, visto che gli idonei sono più di quanti sia necessario arruolare.

Ha anche dovuto subire i lazzi dei coetanei dichiarati abili – «Chi non è buono per il Re non è buono per la Regina!» – ma in fondo è stato contento, perché le sue braccia, in quei due anni che dura la naja, sono più utili a casa. Poi però è scoppiata la guerra e le mitragliatrici austriache fanno strage, così, in quel conflitto nel quale l’industria per la prima volta è entrata prepotentemente con le sue macchine, anche i numeri dei caduti e dei feriti sono diventati “industriali” e quei soldati vanno rimpiazzati.

Quindi Torta Giovanni di Guglielmo, detto Nino, classe 1892, ha dovuto ripresentarsi alla visita militare e questa volta è stato dichiarato abile, perché per farne carne da cannone tutti vanno bene. Arruolato nel 2° Reggimento alpini, che nella disgrazia è una fortuna perché è un po’ come essere al paese: l’arruolamento è territoriale perciò nel suo reggimento sono in tanti di Cherasco e dei paesi vicini e si può parlare, in piemontese, di quanto si è lasciato a casa, certi che chi ti ascolta comprende ogni minimo particolare delle persone e dei luoghi evocati con nostalgia. Alcuni hanno il suo stesso cognome, come Luigi Torta che ci ha rimesso la ghirba sul Monte Paularo soltanto un mese dopo l’inizio della guerra. E tra i primi cheraschesi a morire c’è stato anche il colonnello di fanteria Alessandro dei baroni Roasio, perché chi comandava al paese comanda anche lì nelle trincee, ma a morire sono soprattutto gli operai, i contadini o i lavoratori a giornata come Nino. Nino fino ad allora si era considerato fortunato rispetto a suo fratello Carlo: classe 1891, era stato chiamato alla visita di leva, arruolato e mandato a combattere nella Guerra di Libia. Appena il tempo di tornare a casa qualche mese, dopo i due anni di ferma, e arriva la nuova mobilitazione: il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra contro l’Austria e Carlo è di nuovo alle armi. Chissà se Carlo è ancora vivo, da qualche mese ormai non ne sa più nulla.

I pensieri scorrono veloci nella testa di Nino, il sangue sgorga dalla ferita e la bocca ha ancora il sapore della grappa distribuita ai soldati nelle gavette per sgelare il cuore dalla paura, prima di partire all’assalto delle trincee austriache. Il generale austriaco Conrad un mese prima aveva lanciato la Strafexpedition e sconvolto le linee italiane, penetrando in profondità verso l’altopiano di Asiago. Così alla fine di giugno il 2° Reggimento alpini è lì a cercare di cacciare via gli austro-ungarici dall’Ortigara. I caduti in pochi giorni si contano a centinaia fra gli alpini, molti di loro erano amici e compaesani di Nino.

Sono passate alcune ore e adesso Nino guarda in alto, ma non vede più le nuvole, sopra di lui c’è il telo grezzo di una tenda, quella dell’ospedale da campo dove i suoi commilitoni sono riusciti a trasportarlo, strappandolo dalla pietraia. Un carnaio di uomini straziati nelle membra e nell’anima, sommerso di grida, dove i chirurghi cuciono e amputano senza anestesia e senza sosta. Anche Nino vorrebbe gridare, ma la sua forza di ventenne è ormai sostituita da un flebile attaccamento alla vita. Vorrebbe urlare perché l’ufficiale medico che lo ha visitato al suo arrivo nell’ospedaletto da campo gli ha attaccato sull’uniforme lurida un cartellino rosso dal significato disperante: “Intrasportabile, senza speranza di sopravvivenza”. Il cartellino verde avrebbe invece rappresentato la possibilità di salvezza e il trasferimento in un ospedale divisionale nelle retrovie. Nessuno dei medici e degli infermieri si affanna intorno a lui. L’ultimo atto di umanità gli viene rivolto da un cappellano che gli tiene la mano, mentre alterna orazioni in latino a parole in piemontese per rincuorarlo. Torta Giovanni detto Nino muore sulla soglia dell’estate della vita il 21 giugno, primo giorno dell’estate astronomica, del 1916. Altri 600mila lo hanno preceduto e lo seguiranno.

 

Diego Lanzardo

 

 

Torta Giovanni

Venti giorni sull’Ortigara
senza il cambio per riposar
tapum tapum tapum.

Nella valle c’è un cimitero
cimitero di noi soldà
tapum tapum tapum.

Il 24 maggio 1915 iniziava la prima guerra mondiale, un conflitto che ha segnato una tragica svolta nella storia dell’umanità, il primo con i morti contati a milioni, ma la cui memoria è stata oscurata dalla ferocia degli eventi della seconda guerra mondiale.

Come dimostra la canzone Tapum, il monte Ortigara è presto diventato un luogo simbolo di quella che papa Benedetto XV definì l’“inutile strage”. In pochissimi chilometri di trincee vi furono 36mila morti, una parte preponderante dei quali portavano il cappello con la penna nera, per questo l’Ortigara venne ribattezzato il “calvario degli alpini”. 

Il monte fu anche la sede della prima adunata dei reduci alpini nel 1920 e il vicino altopiano di Asiago nei giorni scorsi ha ospitato la 79a adunata dell’Ana. Fra il maggio e il giugno del 1916, il 2° Reggimento alpini e altri reparti erano impegnati nel tentativo di riprendere il monte Ortigara occupato dagli austriaci durante il colpo di mano noto come Strafexpedition. Tra i combattenti tanti giovani della provincia di Cuneo. 

Qui raccontiamo la storia vera di un soldato del 2° Reggimento alpini, non perché sia una storia speciale, ma per l’esatto contrario: è il disumano ordinario destino toccato a 600mila giovani uomini che non meritano di essere dimenticati. 

Diego Lanzardo

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